Opportunità e ostacoli della didattica da remoto

Vediamo quali sono le opportunità ed ostacoli della didattica da remoto, chiamata anche DAD o Didattica a Distanza.

Nata come “didattica d’emergenza”, la DAD (Didattica a distanza) ha messo piede nelle vite di molti studenti soprattutto da un anno a questa parte.

Contagi in aumento, scelta forzata


La pandemia da Covid-19 ha ancor più incentivato l’uso di questo nuovo modo di insegnare, data l’impennata di contagi l’inverno, la primavera, l’autunno scorsi e durante la stagione invernale attuale, dove si è registrata una crescita della curva dei contagi.

Per questa ragione è risultato quasi impossibile non fare ricorso all’innovativo metodo di insegnamento della DAD, dal momento che è proprio nelle scuole che sono scoppiati numerosi focolai da Coronavirus.

Pertanto l’unica strategia da attuare – laddove è stato possibile farlo – è stata quella di lavorare da casa. Chi era costretto a lavorare in ufficio, ha fatto ricorso allo smartworking ; chi invece tutte le mattine doveva dirigersi presso un istituto scolastico per insegnare, ora può farlo ‘comodamente da casa’.

La didattica in presenza sarà un lontano ricordo?

La DAD in quest’ultimo anno ha investito buona parte della scuola, dall’infanzia alla primaria, dalla secondaria di I e II grado, fino ad arrivare nelle università.

L’obiettivo da perseguire è stato uno solo: limitare il numero di contatti ‘non necessari’, dal momento che il Sars-CoV-2 è un virus che attacca principalmente le vie respiratorie, passa da un individuo ad un altro in modo rapido, soprattutto in condizioni di sovraffollamento e in luoghi poco ariosi e può resistere per diverse ore anche su superfici di plastica e carta.

La regola precipua è, dunque, evitare a tutti i costi assembramenti in aule ma senza fermare la scuola, l’istruzione e l’educazione.

Misure stringenti in arrivo?

Proprio qualche giorno fa il giornalista Fabrizio De Angelis su “Orizzonteascuola.it” nel suo articolo intitolato: «Variante inglese, trasmissibilità oltre il 37%. ISS: “Servono misure stringenti”:

Massima attenzione sulla scuola” ha sottolineato l’importanza della DAD nelle regioni in ‘zona rossa’ , dove si è registrato un aumento esponenziale dei casi di Covid-19 da variante inglese tra under 18; per questa ragione la riduzione di contatti ravvicinati fra studenti e personale scolastico attraverso la metodologia della ‘scuola virtuale’ risulterebbe – al momento – l’unica soluzione per fronteggiare la crisi epidemiologica.

Sempre su “Orizzontescuola.it” si leggeva anche un’ulteriore notizia a riguardo:

«Covid, Lopalco: “Segnali preoccupanti dalle varianti. Per me DAD fino all’inizio della primavera”».

Lopalco, epidemiologo e assessore alla Salute della Regione Puglia ha evidenziato la sua preoccupazione circa la variante inglese del virus, molto più contagiosa e trasmissibile.

Un’ipotetica apertura delle scuole in questo momento – secondo l’epidemiologo pugliese – comporterebbe un inevitabile incremento dei contagi.

Ma l’argomento DAD ha sollevato non poche polemiche fra le istituzioni e la popolazione, tanto da determinare una frattura nella società tra favorevoli e contrari.

Tuttavia c’è da sottolineare che come insieme di nuovi metodi di insegnamento, la DAD presenta da un versante degli aspetti positivi e dall’altro negativi.

Pro e Contro della DAD

Luigi Martano, Dirigente scolastico dal 1988 e figura cardine del mondo della scuola, ha definito la DAD un valida forma di “didattica al tempo delle calamità“.

«Nell’era del Coronavirus, – ha illustrato Martano – il “coronaviriano” dell’antropocene, la scuola si mette alla prova e fa i conti con se stessa, dimostrando cosa sa e può fare, le famose agognate competenze, e cosa ha costruito.
(…) La DAD è la scuola che cambia pelle per fronteggiare una situazione di emergenza e che, comunque, vuole garantire il diritto allo studio degli studenti avvalendosi, perciò, di una metodologia che ha come parametri principali la distanza e l’inevitabile utilizzo delle tecnologie come strumenti didattici e/o di comunicazione».

La didattica a distanza – dunque – da un lato può rappresentare una ricchezza, un valore aggiunto, in quanto consente sia a docenti che a discenti di affinare le proprie competenze e capacità informatiche;

dall’altro, invece, marca ancor più il “divario digitale” già presente nella popolazione, fra soprattutto chi non ha le possibilità di permettersi un device e una connessione stabile; un disagio che si estende anche fra gli “immigrati digitali“, ovvero, le persone di età avanzata che faticano ad approcciarsi ai nuovi media.

Per quanto concerne l’affinamento delle conoscenze digitali, la DAD ha permesso di porre un distinguo fra – come li ha definiti anche Martano – “docenti 2.0” che si limitano all’utilizzo di LIM, piattaforme RE, qualche Google App e chat di gruppo; e poi “docenti 3.0” e “docenti 4.0” che, rispetto ai primi, oltre all’utilizzo di questi nuovi strumenti, sono più capaci di pianificare lezioni e videoconferenze dove l’interattività tra insegnanti e alunni è molto più dinamica, soprattutto attraverso l’utilizzo di tools ed app per costruire materiali didattici.

Gli insegnanti di ‘ultima generazione’, inoltre, sono in grado soprattutto di gestire le classi virtuali scomponendole in micro-gruppi, dove la capacità di relazione è messa alla prova e in gioco attraverso le virtual rooms.

E’ nata diverso tempo fa

È evidente che la pandemia da Coronavirus abbia acceso i riflettori su questo nuovo modo di fare scuola, eppure la DAD è molto più datata di quanto si pensi.

Molti associano la sua nascita allo scoppio dell’emergenza sanitaria ma c’è da sottolineare che l’istruzione ‘a distanza’ esistesse già da prima.
Martano nel suo articolo online definisce la DAD “figlia dell’e-learning e sorella della FAD“.

L’acronimo “FAD” sta per “Formazione a distanza“, in vigore da diversi anni con l’intento di istruire persone adulte e già, appunto, ‘formate’ in determinati ambiti, come professori, professionisti, accademici e lavoratori già inseriti in determinati settori.

Formazione a distanza

La DAD ovviamente non ha nulla a che vedere con un percorso formativo digitale qualsiasi, ma nei metodi si ispira a questo e nasce proprio come nuova modalità di insegnamento, come alternativa digitale alla scuola fisica per giovani che ancora non hanno ricevuto delle basi culturali per costruire il proprio futuro.

Tra gli elementi a favore della didattica da remoto rientrano innanzitutto l’ottimizzazione dei tempi da parte di insegnanti e alunni che non sono obbligati a spostarsi da casa propria per raggiungere l’edificio scolastico; le lezioni sono – come definite da alcuni educatori – Just in time cioè sempre reperibili online, nel caso qualche alunno non si sia presentato a lezione; l’interattività tra docenti e discenti attraverso chat di gruppo ed e-mail è maggiore rispetto alla scuola in presenza; i costi dovuti sia al mantenimento dell’edificio scolastico che agli spostamenti sono ridotti; inoltre il materiale didattico online è più facile da distribuire. Questi sono soltanto alcuni degli aspetti tecnici positivi della DAD.

Ma che dire dei ‘contro’ di questo nuovo approccio tanto decantato nell’immaginario nerd?
Secondo alcuni studi la didattica da remoto comporterebbe:

  • un minore coinvolgimento empatico tra docente e studente;
  • difficoltà nell’accesso a determinare piattaforme per chi non ha acquisito la dovuta dimestichezza con i new media e problemi di connessione a internet dal momento che diverse famiglie vivono in una condizione di indigenza e non tutti possono permettersi una rete internet flessibile e dei device all’avanguardia.

A questo riguardo un articolo pubblicato qualche settimana fa su “La Stampa” dal titolo: «Una famiglia su 3 in difficoltà per la DAD», affrontava proprio questo tema e menzionava uno studio condotto dall’Unicef: «Lo studio “La didattica a distanza durante l’emergenza Covid-19: l’esperienza italiana”, si è basato sulla somministrazione di questionari a 1.028 famiglie in tutta Italia.

Ebbene, circa il 27% di queste ha riferito di non aver posseduto tecnologie adeguate durante il lockdown, mentre il 30% dei genitori ha riportato di non avere avuto tempo a sufficienza per sostenere i propri figli con la didattica a distanza. Il 6% dei bambini dello stesso campione non ha potuto partecipare alla didattica a distanza organizzata dalle scuole a causa di problemi di connettività o per la mancanza di dispositivi».

Nell’articolo «Didattica a distanza: tra problematiche e opportunità», edito dalla Cgil di Reggio Emilia, si osserva: «Eppure i più deboli, i ragazzi provenienti dai contesti più difficili, più svantaggiati, proprio coloro che ne hanno più bisogno, sono spesso mancati al quotidiano appello del “fare scuola” in tempi di Coronavirus».

In sintesi le narrazioni circa la DAD risultano avere aperto ulteriori dibattiti circa la sua valenza ed efficacia in special modo fra le fasce più deboli della popolazione (famiglie disagiate e giovani portatori di handicap).

Diversamente abili in difficoltà

Se come metodo innovativo e all’avanguardia la didattica da remoto sembrerebbe quasi “portare la bandiera” di mezzo tecnologico dell’inclusione e della democrazia – tanto da aver fronteggiato sempre più il “diritto alla disconnessione” tra il personale scolastico – dall’altro fronte marcherebbe ancor più il “divario digitale” tra ricchi e poveri; in particolare tra alunni senza alcuna patologia e diversamente abili.

Quest’ultima categoria – inoltre – rappresenta un’ulteriore ‘nota bollente’ fra le problematiche in cui versa la DAD.

Una triste stima riportata su “Repubblica” nel dicembre scorso ha evidenziato che «la scuola ha perso 70mila disabili con la DAD».

L’improvviso e ‘brusco’ passaggio alla scuola a distanza ha stoppato tutto il percorso didattico degli insegnanti costruito sulla socializzazione. Diversi ragazzi portatori di handicap abbisognano di un contatto prettamente fisico e umano per accrescere la loro esperienza e conoscenza del mondo.

Tutto questo con la didattica da remoto viene a mancare. A questo si aggiunge il divario tra le scuole del Sud meno equipaggiate a livello tecnico e informatico per fronteggiare queste problematiche, rispetto a quelle del Nord.

Dai dati Istat è emerso che le scuole della Valle D’Aosta e dell’Emilia Romagna risultino essere più virtuose – per esempio – di quelle della Sardegna.

Nonostante queste incongruenze territoriali il rapporto tra DAD e studenti con disabilità risulta essere molto complesso e con numerose variabili, dal momento che esistono svariati casi di disabilità; ed in base alla situazione specifica del ragazzo affetto da handicap cambia anche il discorso sui punti di forza e di debolezza della DAD.

Per cui la didattica da remoto può risultare funzionale per un determinato portatore di handicap ma non per un altro, dove il contatto visivo, fisico e umano è a dir poco fondamentale e pedagogico.

Sempre sul sito della Cgil dell’Emilia Romagna si legge:

«Scuola online non equivale a scuola in presenza. Ovviamente non riavremo mai, in modalità “online”, qualcosa che possa avvicinarsi a ciò che la scuola solitamente è: la scuola “a distanza”, pur preziosa di questi tempi, non sarà mai la scuola in presenza».

Tuttavia non resta altro da aggiungere se non che sia necessario potenziare il livello informatico e digitale del nostro sistema scolastico ed investire maggiormente nei nuovi media; ciò potrebbe rappresentare – al momento – l’unica via d’uscita per fronteggiare la crisi pandemica e la disparità tra ceti sociali e alunni disabili.

Questo è un discorso da tener presente anche in prossimità della scuola del futuro, immaginata più efficiente, tecnologica ed avanzata rispetto a quella attuale, quando finalmente ritornare tra i tradizionali banchi di non costituirà più un problema.

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