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Dal Giappone agli Stati Uniti, dall’Europa all’Australia, una nuova mania si impadronì di milioni di persone, giovani e meno giovani. Con nomi bizzarri come Pac-Man, Asteroids, Space Invaders, Battlezone e Donkey Kong, i videogiochi atterrarono non solo nelle sale giochi, ma anche nelle farmacie, nei supermercati, nelle stazioni di servizio, nei fast-food: ovunque le persone si riunivano. I loro suoni (detti anche bit), le loro esplosioni e le loro luci colorate catturarono la fantasia e l’immaginazione di una nuova generazione di giocatori fino all’ossessione.
Nel 1982 negli Stati Uniti, i soli videogiochi arcade (i cabinati in cui si mettevano i gettoni, a volte i gettoni telefonici, oppure delle monete) incassarono l’incredibile cifra di 5 miliardi di dollari. Per capire cosa significasse tale cifra, si rifletta sul fatto che equivaleva al doppio delle entrate dell’industria cinematografica, o al triplo degli incassi del baseball, del basket e del football professionistici messi insieme. All’epoca, una partita costava 25 centesimi di dollaro. Per raggiungere i 5 miliardi, ci vollero ben 20 miliardi di monetine! Si calcola che fu speso l’equivalente di 75.000 anni umani.
Che dire dei videogiochi casalinghi? Il guadagno era inferiore: circa 1 miliardo all’anno. Visto che non si dovevano inserire gettoni o monete, è impossibile sapere quanto tempo fu dedicato ai videogiochi in casa.
Così iniziarono gli anni ’80, all’insegna dei videogiochi. Gli addetti ai lavori profetizzarono bene che i videogame sarebbero stati un futuro assicurato per l’economia. Ma chi giocava ai videogiochi? Nel 90% dei casi, i partecipanti erano di sesso maschile, di cui a propria volta l’80% era composto da adolescenti. Le donne, e le ragazze in particolare, erano ancora poche.
Si ritiene che negli anni ’80 9 adolescenti su 10 hanno visitato una sala giochi per giocare. Ciò significa che anche se i giochi casalinghi stavano diventando sempre più popolari, i cabinati andavano per la maggiore.
C’era qualcosa di positivo?
Molti analisti ritengono che i videogiochi abbiano un effetto positivo sui giocatori. Citiamo il commento di un professore di psicologia:
“Gran parte dei divertimenti ci ha abituato a restare seduti. Con questi giochi, puoi intervenire. Il giocatore ha molto controllo. E il controllo è particolarmente importante per gli adolescenti”.
Un altro esperto afferma:
“Le fantasie nei giochi per computer consentono alle persone di soddisfare bisogni emotivi non soddisfatti altrimenti”.
Altri ritengono che i videogiochi siano utili perché, dopo tutto, siamo nell’era dei computer. Prima riusciamo a introdurre i bambini ai concetti e alle tecniche del computer, meglio saranno in grado di padroneggiare quelli reali in futuro. I giochi sono intellettualmente stimolanti, e affinano sia le abilità matematiche del giocatore che la coordinazione occhio-mano.
Non dimentichiamo quanto fu detto nella rivista PC Pratico negli anni ’90 in un articolo che analizzava alcuni videogiochi della Mattel ambientati nel mondo della Barbie. Questi nuovi titoli avrebbero garantito l’introduzione delle bambine al mondo dei videogiochi. Comunque, dobbiamo aspettare il periodo a cavallo fra gli anni ’90 e il 2000, con l’arrivo dei primi cellulari compatibili con le applicazioni e i videogiochi in Java, per vedere le bambine e le ragazze avvicinarsi davvero al mondo videoludico. Nello stesso periodo, inoltre, sui PC arrivò The Sims, che fu la base rivoluzionaria per garantire l’accesso femminile al mondo videoludico.
Indubbiamente, i computer e i giochi per computer hanno un immenso potenziale come strumenti didattici. Sono diventati uno standard nelle aule scolastiche: ormai sono presenti dalle scuole elementari alle università. Comunque, all’inizio molti educatori non condividevano l’entusiasmo mostrato dai programmatori e dai produttori di computer degli anni ’80. Per loro la maggior parte dei programmi informatici era solo una variante dei costosi libri di testo; si chiedevano se il pesante investimento coinvolto valesse davvero la pena. In ogni caso, il mondo informatico nelle scuole e il mondo videoludico non sono mai stati la stessa cosa.
Reazioni ai Giochi
Oltre all’ovvio appeal per gli adolescenti e al suo successo commerciale, la proliferazione dei videogiochi arcade scatenò reazioni contrastanti: si andava dalle forti proteste dei genitori ai veri e propri divieti governativi. Nelle Filippine, il presidente Marcos vietò ufficialmente i giochi elettronici, concedendo ai gestori due settimane per disfarsene. Nella Germania Ovest, chiunque avesse meno di 18 anni non era ammesso nelle sale giochi. In Brasile, l’importazione di qualsiasi cabinato era severamente vietata. Negli Stati Uniti, le cause legali che coinvolgevano questi giochi furono portati alla Corte Suprema. Che dire dell’Italia?
In Italia, nelle sale giochi i minori di 16 anni potevano entrare solo se accompagnati da un adulto. Nei bar, su tutti i cabinati era presente un divieto per i minori di 16 anni. Ricordo ancora la scritta in italiano arcaico: “I giuochi sono vietati ai minori di 16 anni”. Eppure, quasi mai il limite d’età era un ostacolo, né per i minori né per i gestori. Questi ultimi chiudevano un occhio. Gli altri invece li spalancavano, rimanendo anche a bocca aperta davanti a quei mondi alternativi in cui giocare.
Perché reazioni così forti a quello che a molti sembra essere nient’altro che un gioco divertente?
Motivi di preoccupazione
Prima di tutto, c’è la questione economica. Ricordiamo che la maggior parte dei videogiocatori dei cabinati era formata da adolescenti; pertanto, la maggior parte delle entrate proveniva proprio da loro. Non era raro che più volte in una giornata i ragazzi cambiassero banconote da dieci mila Lire per avere i gettoni o le monete. Secondo molti ragazzi degli anni ’80, prima di poter padroneggiare un videogioco servivano in media 50 dollari (quasi 100.000 Lire). La domanda che ne consegue è: dove prendevano tutti quei soldi?
Io ricordo che raramente avevo a disposizione più di 1.500-2.000 Lire per videogiocare!
Genitori arrabbiati dell’epoca dicono che i loro ragazzi semplicemente usavano i soldi del pranzo o della merenda. Una madre arrabbiata di un ricco sobborgo di New York accusò i giochi di essere la causa dell’aumento della criminalità giovanile:
“I bambini strappano borse e catene d’oro per avere i soldi da mettere in queste macchine”.
A South Auckland, in Nuova Zelanda, un sergente di polizia ha raccontato di quando catturò una banda di quattordicenni mentre faceva razzia nel quartiere, rubando i soldi lasciati per il lattaio. Il sergente ha detto:
“Quei ragazzi hanno ammesso che volevano i soldi per giocare alle macchine degli Space Invaders; e nei nostri archivi ci sono molti casi simili”.
Anche i videogiocatori percepivano l’immenso potere che questi giochi avevano su di loro. Alcuni hanno ammesso apertamente di esserne diventati dipendenti. “È come una droga”, disse un “arcadico” (frequentatore abituale di sale giochi). “Vedi le stesse persone qui settimana dopo settimana. Ho cercato di smettere. Mi piacerebbe riavere tutti i soldi che ho speso”. E i giochi stessi contribuivano a spenderli. Il progettista designer di un noto videogioco dell’epoca disse:
“Vuoi sviluppare un sano livello di frustrazione. Vuoi che il giocatore dica: ‘… se inserisco un’altra moneta, potrei fare meglio’”.
In effetti, la maggior parte dei giochi è programmata in modo tale che man mano che il punteggio del giocatore sale, il gioco diventi più veloce e più difficile. La situazione non è diversa dal far penzolare la carota davanti all’asino: è sempre quasi a portata di mano, ma non del tutto. Non pensate che questo sia cambiato negli anni. Ancora oggi molti videogiochi, specialmente quelli che prevedono acquisti in-app o in-game, diventano sempre più complessi o frenetici con l’avanzare dei livelli. A un certo punto, per portare avanti un videogioco gratuito si è costretti ad acquistare dei potenziamenti, spendendo denaro reale.
Questo trucco psicologico può essere particolarmente dannoso per i bambini. L’editorialista di un giornale ha commentato cos’è successo mentre guardava dei bambini videogiocare:
Mi hanno ricordato i “giocatori compulsivi, seduti per ore e ore, che inseriscono a più non posso monete nelle slot machine: la mentalità è la stessa”.
Quindi non sorprende che Gamblers Anonymous (l’Anonima Giocatori) si sia espresso contro i videogiochi sulla base del fatto che le abitudini ossessive e compulsive possono iniziare a svilupparsi nei bambini di dieci anni. È l’età media in cui i bambini iniziano a essere attratti dai videogiochi. La sociologa Sherry Turkle ha detto:
“I giochi iniziano ad affascinare un bambino a quel punto del suo sviluppo in cui la bravura e il controllo diventano le questioni più importanti, a 8, 9, 10 anni”.
Un’altra fonte di preoccupazione ha a che fare con la natura stessa della maggior parte dei videogiochi popolari di oggi. Come suggeriscono i nomi, la stragrande maggioranza di essi ha un’ambientazione nel mondo della guerra, lavorando sull’istinto di uccidere per non essere uccisi; sono orientati alla violenza e promuovono l’aggressione senza pietà. Allo stesso tempo, questi giochi si rivolgono alla gratificazione immediata. Un esperto nelle comunicazioni ha detto:
“Più riesci a solleticare le tue emozioni, meno tollerante e paziente sarai per le cose che non sono altrettanto veloci”.
Così, in una lettera indirizzata ai redattori del New York Times, il mittente sosteneva che gli attuali videogiochi commerciali “assecondano gli istinti più bassi dell’uomo. Stanno coltivando una generazione di adolescenti senza cervello e di cattivo umore”.
Anche se il periodo a cavallo fra gli anni ’80 e gli anni ’90 ha visto la crescita a dismisura delle sale giochi, queste esistevano già da lunghissimo tempo. Le potevate trovare anche in alcune ville. All’interno, però, non c’erano i cabinati. Erano caratterizzate dalla presenza di un tavolo da biliardo e magari da qualche flipper. Con il tempo arrivarono le sale da biliardo, che ispirarono la nascita delle sale giochi vere e proprie.
Nelle sale da biliardo non riecheggiavano suoni elettronici, ma quelli delle palline che scorrevano sui tavoli dopo essere state colpite dal bastone. Naturalmente, si sentivano le voci dei partecipanti, di solito rigorosamente uomini. Le eventuali donne erano “dame da compagnia” di tipo bohemienne.
Anche i primi flipper non emettevano suoni elettronici, visto che erano basati su ingranaggi. Ma poi sono arrivati i giochi elettronici, modificando l’atmosfera. Ai suoni esplosivi dei videogiochi, si potevano aggiungere voci di videogiocatori che pronunciavano parolacce, erano presi da attacchi di ira, urlavano e davano calci se perdevano. Alcuni si mettevano a pregare, sperando di essere benedetti da qualche divin miracolo, così da salvare il loro avatar (per alcuni ragazzi quella era l’unica occasione “religiosa” della settimana).
La rivista Time riportava 40 anni fa:
“Le sale giochi di Amsterdam hanno un problema: sono un punto di ritrovo per omosessuali. A Stoccolma, i giochi sono associati mentalmente al teppismo adolescenziale che include droghe, prostituzione e superalcolici illegali”.
Quando i quattordicenni e i quindicenni vengono gettati in un ambiente del genere per ore e ore, giorno dopo giorno, i risultati possono essere disastrosi.
Ben consapevoli che molti genitori erano preoccupati di ciò che i videogiochi arcade potevano fare ai loro figli, produttori intraprendenti produssero versioni domestiche di molti videogiochi, oltre a realizzarne molti a uso esclusivo “familiare”. Reindirizzavano ai bambini gli stessi titoli che nei locali riportavano dei divieti. Mentre tali giochi casalinghi potevano proteggere i bambini dagli elementi indesiderati delle sale giochi, l’effetto alla fine rischiava di essere lo stesso. Inoltre, i bambini scoprivano presto che queste erano versioni ridotte e rallentate delle versioni a gettone. Il richiamo delle sale giochi era più forte che mai.
Giocare o non giocare
Gli anni ’80 sono finiti da un sacco, ma gli effetti sono ancora evidenti. È interessante che la serie di film Ritorno al futuro mostra un videogioco che resiste 30 anni. L’attrattiva per il retro-gaming è forte. I videogiochi sono qui da decenni per rimanere. Altre mode non sono riuscite a cancellarli. L’uso delle sale giochi, almeno dalle nostre parti, è stato soppiantato da console, PC e smartphone da gaming. In questi decenni sono stati realizzati migliaia e migliaia di titoli videoludici.
Sono solo un tipo di divertimento innocente? Oppure nascondono qualcosa di più? Molti videogiochi sono coinvolgenti. Ancora oggi molti giocatori diventano schiavi, lasciandosi controllare mente e corpo. I genitori responsabili, quindi, devono considerare se i videogiochi sono adatti all’intrattenimento per le loro famiglie. Molti genitori attuali sono anche i videogiocatori degli anni ’70 e ’80. Possono far tesoro delle esperienze della loro adolescenza, così da trasmettere la giusta educazione videoludica ai loro figli. Se dicono ai loro figli: “Ti capisco”, stanno parlando con cognizione di causa. Possono sentirsi autorizzati di stabilire delle regole giuste inerenti all’uso dei videogiochi. Magari possono imporre ai figli dei limiti relativi a tempo e denaro.
Cosa ne pensano i videogiocatori
“Ci gioco da cinque anni. Sono decisamente videogioco-dipendente. Mi rendo conto che è uno spreco di denaro, ma mi diverto: i soldi sono miei. Me li guadagno”
(David, 14 anni; si guadagna da vivere lavorando presso un rifornitore di benzina).
“Il mondo intero cessa di esistere quando giochi. Puoi dimenticare tutto e vivere la vita di un eroe, superando la tecnologia”
(Mickey, che, dopo essere cresciuto giocando ai videogiochi, ha iniziato a gestire una catena di sale giochi).
“Sfogo tutte le mie frustrazioni su questa macchina. Quando gioco davvero male, colpisco la macchina, mica me stesso. Voglio essere uno dei migliori giocatori. Questo è il mio obiettivo”
(John, che a 12 anni spendeva l’intera paghetta per allenarsi ai videogiochi).
E voi, cosa ne pensate? Avete vissuto anche voi lo stesso periodo storico? Condividete le opinioni degli esperti che abbiamo citato in questo articolo?