Psicologi online nell’era della pirateria informatica

Durante i due anni di pandemia da Covid-19 sono molte le persone che si sono rivolte a psicologi online per avere un tempestivo consulto psicologico, comodamente da casa propria e collegati dai propri device. I social oggi abbondano di pagine Facebook e Instagram di motivatori, psicologi e psicoterapeuti che si trasformano in veri e propri influencer della sfera cognitiva, emotiva e comportamentale.

Con queste piattaforme sembra anche più semplice mettersi in contatto con una lunga e variegata lista di psicologi; infatti basta semplicemente inviare un messaggio nella chat del professionista di riferimento per poter fissare degli appuntamenti.

Occorre ‘seguire’ il profilo dello psicoterapeuta, i cui post compariranno nella propria bacheca una volta diventati suoi followers.

È evidente che anche la figura dello psicologo con gli attuali strumenti di comunicazione ha subìto delle trasformazioni, delle ‘limature ‘ per così dire e – come qualsiasi produttore o venditore online di contenuti – si presta in veste di influencer con immagini e un design sempre più accattivanti. Soprattutto occorre dire che più seguaci e like avrà la pagina dello psicologo che ci interessa, più risulterà attendibile e ‘credibile’.

Dunque il piano di comunicazione di uno psicoterapeuta al giorno d’oggi, utile per accrescere la propria clientela e aveRe un impatto maggiore sulla platea di pazienti/spettatori, tiene conto anche delle dinamiche marketing del networking. La pagina Facebook o Instagram di un professionista, esperto di salute e benessere psico-emotiva, dovrà essere curata nei minimi dettagli e attirare il fruitore con post che si avvicinino sempre più ai bisogni, alle esigenze e agli interessi dei propri fruitori.

Eppure sorge spontanea una domanda: tutti i dati personali e sensibili che sono nelle banche dati di svariate società o che sono raccolti da determinati professionisti digitali del settore, sono davvero al sicuro? Che dire di quelli raccolti proprio durante gli incontri online – organizzati in special modo durante la pandemia – da psicoterapeuti e psichiatri durante le loro sedute virtuali con i pazienti?

Il caso finlandese di un attacco hacker alla società “Vastaamo” è un esempio lampante di come la sicurezza in rete dei dati dei pazienti è messa sempre più a rischio.

Come riportato in un articolo del 29 luglio 2021 de “L’Espresso”, intitolato: “Le sedute con lo psicologo fatte online sono il nuovo obiettivo degli hacker”, la Finlandia si configura fra i primi Paesi ad aver sperimentato questa esperienza digitale altamente pericolosa.

In effetti proprio durante il pieno della pandemia, nell’ottobre 2020 la società finlandese di salute mentale “Vastaamo” – ben radicata sia sul territorio fisico con numerose cliniche, sia su quello digitale con servizi online di psichiatria e terapia – ha subìto attacchi hacker.

Nell’articolo si legge che i cyber criminali “hanno chiesto un riscatto in bitcoin, prima ai vertici dell’azienda e poi ai singoli pazienti, per evitare la pubblicazione in Rete delle loro cartelle mediche. Si calcolano almeno 300 schede con tutti i dati personali sensibili di pazienti riportati dai terapisti. Un danno enorme che lede in special modo la credibilità e l’immagine di queste persone, soprattutto in vista o di un inserimento nell’ambito lavorativo, o se già inserite in contesti in cui ricoprono ruoli pubblici e di responsabilità.

A questo riguardo – per rendere meglio l’idea – nell’articolo de “L’Espresso” è stata posta una domanda: cosa accadrebbe se saltassero fuori le conversazioni intime tra il Presidente del Consiglio e il suo terapista? È palese che ci troveremmo di fronte a un vero scenario da scalpore collettivo che metterebbe in seria difficoltà l’autorità in questione.

Da alcuni studiosi il biennio della pandemia è stato descritto come un periodo in cui i cyberattacchi – soprattutto nel mondo della sanità – hanno proliferato sempre più. Infatti la ‘piaga’ virtuale si è estesa più che mai, fino a raggiungere il nostro Paese. Sì considerino, per esempio, i cyberattacchi ai sistemi dell’Ulss di Padova, Roma e Napoli.

Il primo risale a circa tre mesi fa, agli inizi di dicembre. In un articolo de “Il Fatto Quotidiano” si commenta così l’episodio: “Non solo le malattie e le relative terapie, ma anche le dipendenze e i traumi fisici e psichici; il tutto corredato da nomi, cognomi, indirizzi e numeri di telefono. Oltre settemila file con le cartelle cliniche della banca dati dell’Ulss 6 Euganea, l’Asl con le informazioni sensibili di tutti gli abitanti della provincia di Padova, sono finiti in Rete”. In questo caso i pirati informatici si firmavano con il nickname “lockbit 2.0”.

Arianna Di Cori, giornalista di “Repubblica”, in merito agli attacchi hacker verso numerose Asl laziali, ha evidenziato l’alert delle Asl di spegnere i pc a fine giornata per consentire non solo un corretto aggiornamento dei sistemi ma anche per scongiurare eventuali infiltrazioni esterne, come accaduto nel novembre scorso. Infatti l’intero sistema sanitario digitale dell’Asl Roma 3 era andato in tilt a motivo dell’ennesimo cyberattacco.

I pirati digitali – da quanto sì è considerato – non hanno risparmiato nemmeno il Napoletano. In un articolo pubblicato su “Positanonews” infatti si legge che il 7 gennaio scorso anche il sistema informatico dell’Asl Napoli 3 Sud è entrata nel bersaglio del cybercrimine.

Nell’articolo sono stati messi in risalto oltre i danni di immagine dei lavoratori e e dei pazienti, anche quelli economici che il personale sanitario ha dovuto subire, con riduzione di busta paga ed annullamento dei buoni pasto. Questa volta i criminali si nascondevano sotto lo pseudonimo di “Sabbath” imponendo “un riscatto milionario all’azienda”, come si evince sempre dall’articolo.

Questi solo soltanto alcuni dei tentativi da parte del crimine online di scardinare intere banche dati dei sistemi sanitari nazionali e regionali. Lo spettro dei dati sensibili rubati alle aziende sanitarie continua ad aleggiare e a destare non poche preoccupazioni, soprattutto nei pazienti che si affidano completamente a queste per cure e terapie da seguire.

Occorrerebbero, dunque, un maggiore controllo e tutela dei sistemi informatici sanitari che sono una vera e preziosa fonte di informazioni. Che i nostri dati possano fungere ancora da ignobile strumento di lauti guadagni per i pirati digitali, sì, resta ancora un pericolo che si nasconde dietro l’angolo ed è necessario prendere maggiori provvedimenti per scongiurarli una volta per tutte.

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