15 anni di Spotify: come il gigante dello streaming ha cambiato e ha reinventato l’industria musicale (Seconda parte)

Il declino della pirateria musicale

Il download illegale e la condivisione di file introdotti da Napster, Limewire e altri produsse una pirateria che inondò il mondo in un modo che sembrava impossibile da salvare. Eppure Spotify ha reso lo streaming legale aiutando sia i consumatori che l’industria musicale. Le nuove generazioni hanno imparato ad ascoltare la musica in modo sia gratuito (oppure tramite una piccola spesa) che legale. È vero che i costi sono solo una minima frazione rispetto a quelli legati all’acquisto di un CD. Ma ora la musica è alla portata di tutti e ovunque sia presente un servizio musicale.

Dagli USA spostiamoci al Regno Unito. Secondo uno studio fatto da YouGov, la pirateria musicale è scesa dal 17% nel 2013 al 10% nel 2018. Il 22% degli intervistati che scaricava musica da fonti illegali ha dichiarato che si aspettava di fermarsi entro 5 anni.

Uno studio pubblicato nel 2019 dall’American University International Law Review affermò:

La nostra conclusione è che la pirateria online è in declino, grazie soprattutto alla crescente disponibilità di contenuti legali a prezzi accessibili.

Nell’era dei CD, un album contenente 12-15 tracce poteva costare 20-30 €, se non di più. Per valutarne l’acquisto, era possibile acquistare un singolo, cioè un CD da 10-15 € contenente uno o due brani, spesso eseguiti in più stili. I servizi ad abbonamento consentono agli utenti di scegliere cosa ascoltare di un album, di fornire anche un eventuale valutazione e di esplorare artisti, generi e sound illimitati per pochi Euro mensili. Secondo YPulse, una società di ricerca, l’85% degli adolescenti che usano Spotify ha affermato che i propri gusti musicali non rientrano in una singola categoria.

Questo grosso cambiamento ha reso Spotify leader non solo fra gli ascoltatori ma anche fra gli addetti ai lavori, cioè i musicisti stessi. Oggi è diventato più facile anche creare collaborazioni internazionali, grazie ai social network.

L’abbonamento gratuito

Per molti anni, Spotify è stato criticato perché può essere utilizzato in modo gratuito. Questa possibilità permette di accedere a tutto il database musicale, quasi senza limitazioni. Una limitazione riguarda la possibilità di salvare la musica nei dispositivi di ascolto. Un’altra limitazione è legata all’obbligo di ascoltare 30-60 secondi di pubblicità ogni 30 minuti. Comunque, questa pubblicità è la base per pagare i diritti d’autore e permettere di avere un account gratuito.

Secondo Ek e altri rappresentanti di Spotify, un abbonamento gratuito, che permette di sperimentare quasi tutte le funzioni del servizio, è un modo per attirare clienti paganti. In effetti, gli abbonati a pagamento sono passati da 31 milioni nel 2019 a oltre 155 milioni nel 2020.

Non si dimentichi, inoltre, che un abbonamento gratuito può essere più efficace di uno a pagamento per fare delle ricerche di mercato. Per esempio, Brian Benedik, che nel 2015 era uno dei responsabili della pubblicità trasmessa su Spotify in Nord America, gli utenti hanno creato centinaia di migliaia di playlist, che consentono all’azienda di valutare come procedere nella creazione e nella gestione delle playlist interne. Infatti, nell’ultimo anno sono aumentate pubblicità dai temi più disparati, nonché Podcast gestiti da aziende.

Per esempio, è normale che, dopo 30 minuti di ascolto, si senta una pubblicità che ti inviti a registrarti al Podcast di un’azienda che produce pastasciutta. Il Podcast poi ti insegnerà qualche ricetta che richiede i prodotti dell’azienda stessa. Magari una seconda pubblicità ti inviterà a iscriverci a Spotify. 30 minuti dopo, una terza pubblicità ti parlerà di una nuova automobile, e un’altra ancora ti spiegherà che esiste un servizio che ti permetterà di …

Alcune pubblicità sono standard, cioè uguali per tutti. Altre sono associate a determinate playlist. I brani all’interno di queste playlist, pertanto, si ritrovano legati alle stesse pubblicità. Di conseguenza, anche se non sto usufruendo della playlist a cui è stata legata la pubblicità della pasta, ma sto ascoltando un brano che ne fa parte, anch’io sarò raggiunto da quella pubblicità al termine dei 30 minuti di ascolto.

È chiaro che gli abbonati paganti non possono ricevere queste “particolari attenzioni”. Di conseguenza, non possono interagire con le offerte pubblicitarie.

Traendo le conclusioni: il modello di business offerto da Spotify conviene di più quando un cliente è abbonato e paga o quando ha un abbonamento gratuito?

Per un musicista, la cui musica è all’interno di Spotify, i guadagni aumentano se la sua musica è ascoltata da un abbonato pagante, ma questo è il mondo del business non solo della musica.

Playlist dell’umore

Come fatto nella prima parte di questo articolo, torniamo indietro di una ventina d’anni. In quel periodo era normale comunicare con amici usando gli Instant Messaging (IM). Si trattava di programmi simili al più moderno WhatsApp, che richiedevano un computer per essere utilizzati. Questi IM avevano un’icona che permetteva di comunicare il proprio stato d’animo e altre info (triste, gioioso, occupato, non disponibile, ecc.).

Spotify ha usato lo stesso principio, creando le playlist dell’umore, o degli “stati d’animo”. All’inizio degli anni ’10, il team editoriale dell’azienda iniziò a creare playlist che non appartenevano a specifici generi musicali, ma all’emotività. Per esempio, in Mood Booster troviamo canzoni felici o ottimistiche che appartengono a qualsiasi genere musicale. Di recente, è stata creata la Lorem, descritta così:

The loose knit sweater, DIY bedroom mural wall, alt milk of playlists (Possibile traduzione: “Il maglione a maglia sciolta, il murale della camera da letto fai-da-te, il latte alternativo delle playlist”)

Cosi significa? Chissà!

Riproduzione automatica

Oltre alle playlist, Spotify mette a disposizione anche la riproduzione automatica. Selezioni un brano o un artista, e poi Spotify sceglie come andare avanti dal secondo brano in streaming. Questa funzione è integrata meglio nell’App per dispositivi piuttosto che nella versione per PC, la quale offre un controllo maggiore sulle scelte d’ascolto.

La riproduzione automatica trasforma Spotify in una radio virtuale.

Addio al monopolio di Apple

Apple era riuscita a contrastare la pirateria offrendo musica nel suo iTunes a prezzi tendenzialmente più bassi rispetto i supporti fisici. L’iPod uscì nel 2001, iTunes nel 2003. Nello stesso periodo, anche Creative Labs e Microsoft ci avevano provato con i loro lettori portatili. Ma alla fine di quel decennio Apple aveva conquistato il 69% del mercato digitale (record raggiunto nel 2009). Al secondo posto c’era Amazon MP3, che raggiunse l’8% del mercato nel 2009.

Apple ha continuato a restare in testa fino al 2016, quando Spotify si è preso il 44% del mercato globale, facendo scendere Apple Music al 19%. Grazie alla nascita di altri servizi musicali di streaming, che offrono musica di qualità maggiore, nel 2020 Spotify si è assestato al 34%.

(Continua…)

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