Nei labs di BigM si lavora ad un sistema di identificazione che prescinde dai dati di accesso ai siti e si basa su analisi statistiche, scansione della cache del browser e lettura di cookie di nuova concezione.
Un software che sia in grado di ricavare in maniera autonoma una simile quantità di dati personali fa naturalmente discutere per le implicazioni sulla privacy: Ross Anderson, esperto di sicurezza dell’Università di Cambridge, prevede che l’adozione estesa di una simile soluzione provocherebbe un gran numero di grattacapi legali a BigM. “Stanno probabilmente commettendo reati in un certo numero di paesi se stanno rendendo disponibile un software pensato per contravvenire alle procedure di sicurezza che gli utenti utilizzano per difendere la propria privacy – ha dichiarato Anderson al NewScientist – incluse le leggi sul controllo delle esportazioni e quelle anti-cracker”.
Una comodità unica per gli utenti certo, ma soprattutto per gli operatori e i gestori della sicurezza, e magari, suggerisce Slashdot, anche per i federali americani e le forze dell’ordine di ogni grado e paese, che troverebbero in Microsoft un alleato prezioso con tutte le risposte necessarie ad individuare pericolosi cracker o chiunque contravvenga alle regolamentazioni dello status quo. Casi del genere sono già avvenuti, un controllo ancora più estensivo permetterebbe altresì di accedere a dati ancora più precisi e utili per la caccia ai trasgressori telematici.
Fonte: http://punto-informatico.it/p.aspx?id=1999486